Il dirigibile Italia e l'avventura artica

Torna alla pagina degli articoli

Radiofonia - Anno V - N.6 - Roma 31 marzo 1928

Alcune prove eseguite durante i voli sperimentali compiuti dal dirigibile "Italia" prima di spiccare il volo per il lungo viaggio artico, oggetto della spedizione che il Generale Nobile inizia in questi giorni, sono serviti, tra l'altro, a collaudare gli impianti radio di bordo.

Siamo lieti di comunicare ai nostri lettori che i risultati raggiunti, in ispecie con l'onda di 33 metri, hanno giustamente soddisfatto il Comandante ed i componenti della spedizione. Difatti, con soli 400 Watt impiegati è stato possibile entrare in comunicazione con Pechino e con numerose altre stazioni. Si noti che la stazione di bordo non dovrà che rimanere in contatto che con la nave base "Città di Milano"; il contatto continuo e sicuro con questa, è dunque pienamente assicurato.

Il dirigibile, il cui nominativo è stato fissato in "Italia", potrà trasmettere sui 900, sui 600 e sui 33 metri. La tensione anodica viene assicurata da un generatore a vento che fornisce 3000 Volta. L'accensione dei filamenti delle lampade avviene mediante accumulatori. Le lampade impiegate sono due Marconi T. 250. Sull'aereonave è impiantato, inoltre, un radiogognometro per 300-20000 metri. Completano l'impianto un ricevitore "Burndept" per onde corte, ed un 5 lampade per onde smorzate. L'aereo, in volo, ha una lunghezza di circa 100 metri.

Sono incaricati del delicato servizio a bordo i Capi R.T. Pedretti Ettore e Biagi Giuseppe, che vantano al loro attivo diverse crociere mondiali.

Sulla R.N. "Città di Milano", su cui è installata una potente e moderna 5 Kw., dirigerà il servizio il Tenente Baccarini, ben noto ai dilettanti romani, valoroso ufficiale, intelligentissimo e quantomai competente dirigente della potente stazione di S. Paolo.

A tutti e tre vada il saluto particolare, affettuoso, sincero, dei radioamatori Italiani e nostro.

  

Radiofonia - Anno V - N.7 - Roma 15 Aprile 1928 : Commenti e Notizie

Già nel suo primo balzo da Milano a Stolp - prima tappa della più radiosa mèta - l'equipaggio della areonave guidata dal Generale Nobile ha tratto notevole vantaggio dalle installazioni radio di bordo. Oltre che i frequentissimi comunicati metereologici regolarmente inviati dalle varie stazioni austriache, tedesche e polonesi, l'esatta posizione dell'areonave, rilevata da una di esse e prontamente cominicata, servì a portare un po' di luce al pilota, in lotta ineguale con l'imperversare dei nembi.

Per quanto la radiotelegrafia non sia un fenomeno ignoto ad alcuno, e tanto meno a noi, in diuturni molteplici contatti con lei, pure non possiamo fare a meno di sostare estasiati, di fronte a queste specifiche manifestazioni del genio umano che presentano uno speciale carattere che ha del fantastico.

A terra, disseminate un po' dappertutto, di giorno, di notte, vegliano uomini e macchine, e lanciano l'ignoto cielo, il sapiente, misterioso cinguettio che informa, consiglia, dirige.

Nel cielo, oltre i noti orizzonti, oltre le elevatissime cime, tra lo scrosciar della grandine ed il saettare sinistro dei fulmini, avvolta nell'oscurità delle minacciose nubi danzanti orride cavalcate, nella bianca areonave intrepida vegliano, ancor più intrepidi altri uomini, con il cuore fermo, con gli occhi fissi alla mèta, e con l'orecchio in ascolto non del rombo del tuono, ma del lieve, lontanissimo segnale apportatore di luce e tranquillità.

Dovrebbe essere un sogno. E mai, invece, la realtà fu più vera.

Radiofonia - Anno V - N.8 - Roma 30 Aprile 1928

*** Varie ***

Nel momento in cui il dirigibile "Italia" passava, in Polonia, sulla stazione di Katovich, e precisamente alle ore 22,10 fu possibile, ad un radioamatore francese che si trovava nelle Ardennes, di ricevere il seguente messaggio che la stazione lanciava sui 422 metri.

<< Signor Generale Nobile, comandante del dirigibile "Italia" - La stazione trasmittente di Katovich, lunghezza d'onda 422 metri, vi annuncia che vi trovate al di sopra dell'aereofromo di Katovich, e vi fa sapere che Vi vengono fatti in questo momento dei segnali luminosi, pregandovi di farle l'onore di discendere>>.

Questa frase fu ripetuta a più riprese, con qualche variante, come, ad esempio:

<< Udiamo il rumore dei vostri motori. Fateci dei segnali per farci sapere se ci sentite.>>

Radiofonia - Anno V - N.9 - Roma 15 Maggio 1928

*** La radio, potente ausilio nella spedizione polare ***

Dalle frequenti corrispondenze che i giornalisti di bordo hanno comunicato alla stampa,e, soprattutto, dalla prima relazione ufficiale che il generale Nobile ha fatto al Governo sulla prima parte della spedizione, appare in modo inequivocabile, che l'ausilio della radio a bordo è stato, si può ben dire, tale da prendere uno dei primi posti nel novero dei fattori che hanno contribuito al felicissimo esito dell'impresa.

E' noto quale importanza vitale abbia, in questo genere di spedizioni, la esatta e tempestiva conoscenza delle condizioni metereologiche che sovrastano le zone da attraversare, da raggiungere o da esplorare: solo la radio, attraverso le numerose stazioni terrestri, concordi tutti amorevolmente nell'assicurare, colla massima prontezza e disinteresse questo delicatissimo e vitale servizio, può ed ha potuto consentire ai piloti dell'areonave, di essere continuamente e perfettamente informati sulle condizioni atmosferiche, sulla velocità dei venti, sull'avanzarsi dei cicloni.

La collaborazione delle stazioni terrestri delle varie nazioni che l'areonave ha sorvolato è stata, adunque pronta, efficace, perfetta: e lode e riconoscenza vadano a chi di dovere. Ma è ovvio che, sia pure col migliore dei servizii metereologici, sia pur con le più efficienti stazioni terrestri, sia pure con la più buona volontà e cameratismo tutto sarebbe stato vano se a bordo dell'areonave i due radiotelegrafisti di bordo non avessero saputo compiere in modo ammirabile, il loro servizio, il quale, peraltro, era avversato continuamente dalle difficilissime condizioni generali in cui si espletava.

Sin da quando il dirigibile lasciò l'aerodromo di Stolp per quello di Vadso, Nobile fu posto in diretto contatto con la stazione di Roma San Paolo. Questa dopo che ebbe chiamato Tromso, e ne ebbe le desiderate informazioni metereologiche, le ritrasmise all'Italia, che potette riceverle in volo.

<< Se il dirigibile polare potrà mantenere, come si spera, un buon contatto diretto con la Madre Patria fino all'arrivo alle Svalbard, sarà dimostrato per la prima volta nella storia della radiotelegrafia di quale utilità siano i sistemi ad onde coorte anche nella navigazione aerea. Non risulta, invero, che fino ad oggi sia stato fatto alcun impiego di onde di tale ordine in navigazioni aeree di tanta importanza, essendo le applicazioni del genere tuttora allo stato sperimentale anche presso le altre Nazioni.>>

Così si esprimeva, un giornalista della spedizione prima di giungere alle Svalbard. Ecco che cosa è stato detto, con non celata ammirazione, allorquando l'areonave fu giunta alla King's Bay:

<< Il cammino fatto dalla civiltà in poco più di un decennio è prodigioso. Basti pensare a quanta perfezione Guglielmo Marconi abbia portato la sua prodigiosa invenzione. Senza questo grande Italiano oggi non sarebbe stata possibile l'impresa di Umberto Nobile, o per lo meno i suoi obbiettivi sarebbero stati diversi.
Nel nostro viaggio da Milano alla Baia del Re L'Italia scambiò l'ultima comunicazione con Roma quando aveva già oltrepassato l'isola degli Orsi. Erano circa le nove del mattino, il volo si svolgeva in piena luce diurna, il che, per fenomeno ancora non perfettamente spiegabile, influisce, come è noto, sfavorevolmente sulla chiarezza dell trasmissioni "radio". Tuttavia l'ultima comunicazione fu distinta, e fra l'areonave e San Paolo c'erano 3500 chilometri.
Partita in collegamento con Roma, l'areonave entrò in comunicazione con la Città di Milano mentre navigava nel cielo di Stoccolma. Da allora essa rimase allacciata a sud con Roma e a nord con la Baia del Re. Mano a mano che ci si avvicinava alla mèta, le segnalazioni si facevano più distinte. I radiotelegrafisti dell'Italia, della Città di Milano e di Roma-San Paolo hanno ben meritato l'elogio di Nobile.>>

Noi vediamo dunque che l'impiego delle onde corte può contribuire in maniera mirabile alla buona riuscita delle spedizioni aeree.
Ancora una volta, dunque, noi esprimiamo il nostro plauso ai Capo Radiotelegrafisti Biagi e Pedretti, che prestano servizio continuato a bordo dell'areonave; ed al Capitano Baccarani ed ai suoi subalterni che, in condizioni meno sfavorevoli, ma sempre eccezionali, lo assicurano a bordo della Città di Milano.

Radiofonia - Anno V - N.11 - Roma 15 Giugno 1928

*** Commenti e Notizie - Biagi ***

Nove uomini sopra un lastrone dei ghiaccio. E' come la fine del mondo. Per essi ogni legame coll'umanità s'è lacerato in quel sùbito strappo che ha separato la navicella all'areonave. Gli ultimi compagni si sono dileguati fra le nebbie del cielo. Intorno, non c'è nessuno che possa rispondere. L'orizzonte è sordo. Di là dell'orizzonte, altri ghiacci, altre immensità senza vita.
E uno dei naufraghi, con indomita pazienza, raccoglie, fra i rottami, le reliquie dell'apparecchio radio. Con quale disperata industria si accinge a ricomporlo, non possiamo immaginare. Il tempo passa senza mutazione dei giorni, eguale, nella disperata monotonia della luce: ed egli, con dei frammenti sta tentando di collegare quel ghiaccio che va alla deriva con le lontanissime terre abitate. Vuole raggiungere l'impossibile! Dare una voce alla solitudine morta! E quale voce! Che giunga là, ove non osa più immaginare neppure la speranza.
Tutta la potenza della civiltà, della scienza, del coraggio, dell'abnegazione, era incatenata alla terra, impigliata tra i ghiacci o smarrita nell'incertezza. Milioni di uomini invocavano di sapere; navi frugavano i mari cupi; governi, esploratori, aviatori, marinai, tutti volevano agire, correre in aiuto, annunziare la salvezza degli sperduti. Ma se non c'era quell'uomo, laggiù, che, nella tenda rossa, lavorava, rabberciava, inventava ripieghi, ancora, forse, ci opprimerebbe il silenzio, e il buio sarebbe nelle anime nostre.
Quindici giorni, e l'apparecchio può funzionare. Ma sarà udito? E raccoglierà la risposta? Il cuore di Biagi non s'è spezzato nell'attesa? No, il cuore ha resistito, e il dialogo è cominciato.
Ora il lastrone di ghiaccio è annesso alla vita; è la colonia della nostra passione; è la mèta delle ali di Italia.

(Dal Corriere della Sera).

Il cuore di Biagi non s'è spezzato nell'attesa. Curvo sui rottami del piccolo complesso trasmittente, in lotta contro gli elementi della natura quanto mai avversi, attorniato dal lamento dei feriti cui non si poteva dare soccorso, oppresso dall'incubo di sette fratelli da poco strappati alla banchisa e slanciati, privi di controllo, forse verso la morte, nel cielo burrascoso dell'Artide, privo forse di tutto il necessario, Biagi ha saputo imporsi il controllo dei propri nervi, del proprio cuore. Dio sa dopo quali e quanti espedienti, tra il nevischio che turbinava, egli ha visto, finalmente, tremare, nei suoi strumenti, la conferma che infine, i suoi segnali, balzavano, fulminei, dal tragico accampamento verso lo spazio infinito.

Solo allora il suo cuore deve aver tremato. Ma di gioia. E subito dopo aver trasmesso le prime, urgenti, incalzanti richieste dei naufraghi ritornati, per merito suo, in contatto col mondo, dopo aver dato libero adito alle speranze migliori, un solo grido sgorga dal suo cuore, indirizzato al collega Pedretti che si trova al sicuro, sulla Città di Milano: << Ciao, Ped: viva l'Italia! >>.
Non disse << avvertite mia madre>>, non disse << fate presto>>, non disse << abbiamo la morte alle calcagna, che gelida, guata alle nostre giovinezze >>; disse solo << Viva l'Italia >>.

<< Ecco un accento d'Italiano nuovo - dice la Tribuna in un suo editoriale di giorni or sono - che ci riempie di commozione, che da lassù, dal gelo polare, ci giunge in così semplice umanità a farci migliori, ad ammonirci che la vita si avvicina alla sua ragione più profonda, quando lo spirito vince in sofferenza ogni più acuta esigenza del corpo, ed opera in comunione con le più alte esigenze morali. Questo radiotelegrafista, che ha dovuto ostinarsi per tre settimane a ridar fiato al suo apparecchio; che ha dovuto battere in tutti i sensi per ristabilire il filo invisibile con i compagni della Città di Milano; che ha prima balbettato e poi potuto parlare, dialogare; che non deve sciupare un solo minuto di energia degli accumulatori in parole superflue; che obbedisce militarmente al Capo della spedizione che gli ha commesso il rapporto; e, alla fine, cede all'intimità affettuosa verso il compagno che quasi vede in ascolto e, in fretta, invia il suo saluto quasi gioioso: ciao, Ped; e subito la invocazione migliore: viva l'Italia; questo radiotelegrafista ci offre un esempio di toccante italianità. >>

Noi non sappiamo le ragioni per cui Biagi per diversi giorni non ha potuto comunicare: ma ce lo immaginiamo facilmente. In quale stato si trovò la stazione di bordo, non solo, ma anche quella di riserva, dopo l'urto terribile che distacco la navicella dal dirigibile?
Facilmente, si ruppero le valvole, si spezzarono i generatori a vento, si rovesciarono gli accumulatori, si accatastarono in un informe groviglio, bobine, impedenze, filature: tutto.

Passato il primo periodo di angoscia, sollevati i feriti, stabilito il da fare, inventariato il rimasto, balzò subito la necessità assoluta di chiedere soccorso. Come? Dove? Con che? - La radio.
Cosa è rimasto della radio? Che cosa si può fare? E' possibile rimettere in efficienza, forse usando i pezzi rimasti illesi  dei due complessi, una stazione che possa giungere solo a poche centinaia di chilometri di distanza? Tutte le speranze dei naufraghi si debbono essere fondate solo sulla radio.

Come avraà, Biagi, installata l'antenna? Quali espedienti ha dovuto usare pre creare un contrappeso, o per avere una buona terra? Si noti che deve essere stato necessario creare un aereo alto qualche metro: e non è facile farlo sulla banchisa polare, quando si è sprovvisti di tutto. Col tempo, sapremo tutto, e potremo ancora meglio vagliare l'abilità di quell'uomo. Oggi noi gli inviamo il nostro saluto, il nostro augurio, il nostro "bravo".
E crediamo che solo noi, e cioè solo i radioamatori, sanno apprezzare, meglio che ogni altro, l'opera di Biagi.

Radiofonia - Anno V - N.13 - Roma 15 Luglio 1928

*** Commenti e Notizie ***

L'avventura di Biagi è terminata. Dopo aver effettuato il miracolo di mantenere in contatto col mondo, per settimane e settimane, i naufraghi sballottati dai capricci alla deriva; dopo aver esaurito il proprio sistema nervoso, sullo spasmodico ascolto delle lontane segnalazioni; dopo aver tremato nel vedere, giorno per giorno, ora per ora, segnale per segnale, esaurirsi completamente i piccoli accumulatori, egli, finalmente, riposa.
Era il solo cui il sonno era concesso a piccole razioni di pochi minuti; il solo che per settimane e settimane fuori dalla tenda, sotto l'infuriare dei nembi, non abbia voluto nè potuto concedersi, sia pure per poco, la magnifica gioia di obliare, nel sonno, la tragedia presente e futura.
Egli, con la sua piccola "cassettina magica", riallacciò e mantenne le comunicazioni con la
Città di Milano; egli guidò gli aeroplani nostri e svedesi sulla tenda rossa onde lasciassero cadere i viveri ed i soccorsi già giunti agli estremi; egli che infine attrasse con opportuni segnali, sulla retta via, Krassin che, nonostante la immediata vicinanza non riuscirà a scorgere la fatale tenda sanguigna.
Quando giunsero i salvatori, l'ultimo a salire a bordo della nave, fu lui. Ed aveva sulle braccia quella miracolosa cassettina cui si deve la vita di tanti valorosi.
C'è qualcuno, oltr'alpe, che possa gettare un poco di giallo itterico anche su questa figura di valoroso tra i valorosi?


                                                                                ***

I radioamatori italiani veggono ed apprezzano in lui più che l'indomito coraggio, più che la fermezza d'animo, più che la valentia di tecnico, quell'atteggiamento sereno e tranquillo, giovale e caustico nello stesso tempo, che lo resero sublime agli occhi di tutto il mondo. Non è lontano il giorno in cui Egli tornerà tra noi. Prepariamoci ad esprimere in modo tangibile la nostra simpatia. La Radio Associazione Italiana lo ha creato suo Socio Onorario. I radioamatori italiani gli offrano un segno della loro ammirazione.
Certo non mancheranno a Lui gli elogi dei suoi superiori e dei suoi compagni: certo Egli saprà dell'ammirazione che lo ha circondato e che lo circonda; certo Egli sarà promosso, o comunque premiato; ma noi siamo certi che l'omaggio dei radioamatori, di coloro cioè che possono meglio che ogni altro apprezzare il suo operato, gli tornerà particolarmente gradito.

Invitiamo pertanto tutti i nostri lettori a rispondere con slancio alla iniziativa presa dalla Radio Associazione Italiana.
Le vostre offerte potranno essere indirizzate a <<
Radiofonia >>, Via del Tritone 61, che le passerà alla Radio Associazione Italiana, accusando ricevuta in apposito elenco che verrà pubblicato nella nostra Rivista a partire dal prossimo numero.



Radiofonia - Anno V - N.11 - Roma 30 Luglio 1928

*** Quello che ci ha detto Biagi ***

... Subito dopo che mi resi coscienza di quanto era avvenuto, il mio primo pensiero fu ai miei apparecchi, nei quali vidi, immediatamente il mezzo unico, eppertanto prezioso, per chiedere soccorsi immediati.
Debbo rammentare che avevo con me tre apparecchi: uno della Società Telefunken, uno della S.F.R. ed infine un trivalvolare per onde corte della Ditta Burndept. Il primo, preso in pieno da un tubo d'alluminio della navicella, era stato letteralmente passato da parte a parte: il secondo, in seguito al terribile urto, si era ridotto ad un ammasso informe di fili: il terzo invece, per un vero miracolo era intatto: solo la schermatura metallica si era staccata dai fili di contatto. Con poche viti a legno riuscii a riconnettere tali fili allo schermo. Le valvole, naturalmente, erano fracassate: ma la Provvidenza aveva voluto riserbarmi la sorpresa di farmi trovare, intatte le tre valvole Mullard di riserva, che, contenute nei loro imballaggi, si erano salvate.
Inoltre, in un piccolo cassetto ricavato nell'interno dell'ebanisteria io avevo riposto una cuffia, un voltometro ed alcune bobine di ricambio. Questi accessori mi furono preziosi.
Circa le batterie, avevo in dotazione sul dirigibile, quattro elementi Tudor da 6 Volta ognuno. Di questi, tre soli furono da me trovati subito dopo la catastrofe: il quarto lo rinvenni dopo parecchi giorni, sepolto nella neve, e con il recipiente rotto in diversi punti, sì che l'acido ne era in parte ormai uscito per sempre. Anche a questo potetti riparare con i mezzi limitati a mia disposizione: e cioè tolsi dalle batterie anodiche l'impasto di paraffina e pece, che ne costituisce la parte superiore, lo fusi, e con esso cercai di otturare le falle che si erano prodotte nella caduta: cosa che riuscì perfettamente.

Provvidi immediatamente per l'antenna dell'apparecchio ricevente: essa fu da me costituita mediante filo lungo circa sessanta metri, che io stesi direttamente sul ghiaccio del "pack" il quale era, in ispecie nel punto in cui avvenne l'urto della navicella, rotto in più parti: una estremità del filo la immersi appunto in una delle falle del ghiaccio, in modo che andasse in contatto con l'acqua: l'altra estremità la connessi all'apparecchio. Non era trascorsa un'ora dalla caduta che l'apparecchio era messo perfettamente in grado di funzionare.

Ma non bastava: occorreva trasmettere, mettersi in contatto con il mondo, comunicare il disastro, chiedere soccorsi. La piccola trasmittente di cui potevo disporre, era un monovalve di cui allego lo schema. Sul dirigibile essa era alimentata da una dinamo a doppio collettore, azionata a vento, e che forniva i 14 Volta per l'alimentazione dei filamenti, e l'energia anodica. Ma tutto ciò non esisteva più. Nè avevo a mia disposizione altre batterie anodiche all'infuori di quelle sufficienti appena all'apparecchio ricevente.

Per fortuna era sfuggito al disastro un piccolo vibratore da appena 300 Volta che fu da me in breve tempo applicato in sostituzione della dinamo. Per l'accensione dei filamenti provvedetti con le batterie d'accumulatori.

Bisognava anche installare l'antenna per la trasmissione. Questa doveva necessariamante essere installata con maggior riguardo: ma come?
Non mi perdetti d'animo, ed in breve tempo potetti arrangiare, con numerosi pezzi di legno e tubi d'alluminio della navicella legati tra loro, un'antenna alta circa 6 metri e lunga metri 7.30. La terra era anche qui costituita dall'acqua del mare emergente dalle fenditure del "pack".

Come da ordini avuti precedentemente, io dovevo trasmettere, in caso di incidente, sull'onda di 33 metri: cosa questa che non tornava a favore del mio complesso in quanto chè, date le condizioni d'installazione, la migliore lunghezza d'onda, per me, era quella di 46 metri. Tuttavia non potevo trasmettere su altra onda perchè temevo di non essere ascoltato su quella gamma.
Sui 33 metri avevo sul milliamperometro d'aereo circa 3/10 di amperès: peccato però che quest'onda non era atta a varcare piccole distanze, e non potevo quindi essere udito alla King's Bay.

Occorreva aumentare un poco la tensione di placca della mia valvola trasmittente. Utilizzai quindi  anche il quarto accumulatore e potei così aumentare la tensione che era normalmente di 300 volta. Naturalmente ottenni un miglioramento e già me ne stavo rallegrando quando una conseguenza impensata venne a farmi ripiombare nelle preoccupazioni.
Dovetti con santa pazienza smontare un condensatore fisso trovato tra i rottami delle altre stazioni, togliere le lamelle di mica, costruirmi un nuovo condensatore e rimpiazzarlo.

In breve riuscii a trasmettere: con esattezza dopo sei ore dalla caduta io cominciai il ritornello tragico che doveva durare poi per interminabili ore   " S.O.S. ITALIA". .......

Ma purtroppo, nei primi giorni non venni ascoltato. Seppi più tardi la spiegazione: la Città di Milano, mai pensando alla possibilità di rottura di ambedue gli apparecchi con cui potevo ricevere su onde lunghe, trasmetteva appunto con onda di 600 metri, onda che io non potevo ricevere: nè pensava al fatto che, perduto il motore dell'apparecchio trasmittente ad onde lunghe io ero riuscito a mettere in marcia l'apparecchio ad onde corte.
In un secondo tempo trasmise anche su 30 metri: ma non dava però le informazioni importanti, le quali venivano invece date su 600. Compreso questo (e ciò avvenne dopo qualche giorno) io mi convinsi che unica e mia sola speranza era quella di essere udito da qualche radioamatore in ascolto sulle onde corte: ho avuto fiducia nei radioamatori, e giustamente, perchè non me ne sono pentito.



Difatti io fui udito dalla stazione russa S.O.C. la quale mi telegrafava in seguito di avermi udito, ma molto debolmente e con fading esasperante. Ciò avvenne però dopo molte e molte ore di trasmissione, durante le quali io ho battuto tutte le gamme di lunghezza d'onda dei radioamatori: dai 20 ai 46 metri. Sui 46 metri, io ho potuto ottenere sino a 7/10 di Ampères sull'aereo.
Non posso ora rammentare quali e quanti sono stati gli espedienti da me usati: mi sembra ancor oggi  un sogno l'essere nuovamente qui tra i miei cari per quanto mai mi sia venuto meno il mio buonumore. Un giorno, con più calma, potrò dire tante e tante altre cose e dare dettagli molto più precisi.
Debbo anche dire che il servizio di ascolto come pure quello per gli orari di trasmissione e ricezione che fu organizzato dal capitano Baccarani, fu sotto ogni aspetto prezioso. Forse, in altre circostanze, e con altri uomini dopo breve tempo, l'ascolto sarebbe stato abbandonato.
Tutto mi riappare confusamente nella memoria: le terribili ore passate sul "pack", la fiducia del mio Generale nella radio; il giorno in cui potei finalmente essere udito dai miei compagni; quello in cui guidai sulla nostra tenda l'idrovolante di Maddalena e quelli dei Russi; il giorno, infine, in cui fummo raccolti.
La mia cassetta, la mia "gnegnè" come dicevano i miei compagni, si trova a bordo della Città di Milano; a lei dobbiamo tutti la vita.

Termino queste brevi e frettolose note con una speranza, che nonostante tutto, è ancora salda nel mio cuore: quella cioè che i miei fratelli, quelli che l'Artide candida e tragica cela ancora il suo gelido mantello, ritornino anch'essi così come noi siamo tornati.

Queste sono le dichiarazioni che Biagi ci ha voluto fare non appena rientrato tra le pareti domestiche, per tanto tempo agognate, nel mentre stringeva al suo petto la sua creatura, e la folla generosa del suo quartiere inneggiava entusiasticamente al compagno ritrovato.
Parole semplici e chiare dalle quali traspare il suo carattere fermo e generoso; descrizione forzatamente un poco confusa, ma sincera e sopratutto, buona. Nessuna parola di rammarico per le ore insonni e febbrili passate al tasto, allorquando nessuno lo ascoltava: nessuna parola acre contro chi tentò di  denigrare l'opera del suo generale, o quella sua personale.
Egli si è dimostrato quello che realmente è: un ottimo soldato, un magnifico radiotelegrafista, un vero Italiano.
Un giorno - come Egli dice - potrà dirci tante altre cose.
Un giorno, aggiungiamo,diremo noi pure qualcosa che Egli ancora non sa, o che, se pur sa, tace.

Radiofonia - Anno V - N.11 - Roma 30 Luglio 1928

*** La sottoscrizione per un ricordo di Biagi***

Sono incominciate a pervenire alla Radio Associazione Italiana, pel tramite di "Radiofonia" le prime adesioni alla sottoscrizione da noi indetta allo scopo di offrire al valoroso Biagi un'attestazione di simpatia dei radiocultori italiani.
La nostra iniziativa, che è stata accolta con molto favore anche dalla stampa quotidiana che la ha anche resa di pubblica ragione è intesa ad un nobilissimo scopo che non mancherà di trovare una pronta adesione fra tutti i radioamatori italiani.
Ecco intanto la nota delle prime offerte, a cui andremo aggiungendo, man mano che ci perverranno, quelle che si stanno raccogliendo pel tramite dei commercianti radio Italiani che gentilmente vorranno contribuire alla più larga propaganda della nostra iniziativa.
Rammentiamo che le offerte debbono essere inviate a "Radiofonia" via del Tritone, 61 - Roma.
Comunque preghiamo tener presente che, col 25 agosto la sottoscrizione si intenderà chiusa.

Il seguito e la chiusura al prossimo numero.

Radiofonia - Anno V - N.17 - Roma 30 Settembre 1928

Radiofonia - Anno V - N.21 - Roma 30 Novembre 1928

*** Varie - La radio e le spedizioni polari***

I recenti grandi "raids" aerei hanno portato in primissima vista la questione della radio a bordo degli aerei. I tragici risultati della traversata dell'Atlantico misero per un momento in dubbio l'utilità della radiotelegrafia a bordo di essi. Furono biasimati Nunggesser e Coli di essere partiti senza radio. Lindemberg riuscì nella sua bella impresa senza la radio. L'Old Glory e l'aereoplano di Miss Graison erano equipaggiati con la T.S.F. e ciò non gli impedì di perdersi. Uno solo ha potuto pienamente servirsi della radio, senza peraltro ottenere risultati efficacissimi: Byrd.
Si rammentano i suoi appelli che chiedevano la via da seguire, nonchè quelli disperati per ottenere la propria posizione, e che restarono senza risposta in seguito alla incuria degli aereodromi francesi, Byrd aveva commesso lo sbaglio dei suoi predecessori, non predisponendo alcun servizio di ascolto per suo conto.
E' ben vero che su un percorso di 3000 km, è difficile restare costantemente in contatto con la stessa stazione sopratutto se non si dispone, come trasmittente, che di un apparecchio di debole potenza.
Nobile ha molto ben compreso che gli bisognava una stazione sicura a cui indirizzarsi con certezza di essere ascoltato a qualsiasi ora. Questa stazione fu quella della "Città di Milano" la quale ha largamente provato che i calcoli dell'esploratore erano giusti.
Questa preoccupazione ha un poco contribuito ad aumentare l'inquietudine quando, per oltre una settimana, si rimase senza notizie di Nobile. Negli ambienti dei radioamatori si esaminarono subito delle ipotesi molto più plausibili di quelle dettate dalla sola immaginazione. Nobile aveva, effettivamente, con lui, un equipaggiamento radio completissimo, ed un radiotelegrafista che passava per uno dei migliori d'Italia. Con un tale insieme gli doveva essere sempre plausibile comunicare, a meno che l'apparecchio non fosse stato completamente distrutto, o gli aereonauti tutti uccisi o feriti.
I radioamatori sanno bene il loro mestiere per affermare che una piccola stazione ad onde corte trasmittente, non è più difficile a costruire di un apparecchio ricevente. D'altra parte, con le onde corte, si è riusciti  da tempo a varcare distanze considerevolissime, ricorrendo per contro a potenze infime. Ammettendo dunque che la caduta della navicella non fosse stata di tale violenza da distruggere tutto, c'era da prevedere che in breve tempo sarebbe stato possibile rintracciare, tra i rottami, quanto necessario a mettere insieme una piccola trasmittente.
Si poteva obiettare che le lampada dovevano aver subito un urto formidabile: ma si sapeva che ce ne erano delle altre, ancora nel loro imballaggio, che potevano essere rimaste intatte.
Una prova all'appoggio di questa ipotesi sarebbe d'altra parte fornito dall'esperienza di una Ditta Inglese che fece gettare da un aereoplano da 200 metri di altezza 10 delle sue lampade nel loro imballaggio, e che su 10, tre non furono più trovate, una sola ebbe una leggera rottura interna, e 6 rimasero perfettamente intatte.
Un punto più difficile a spiegarsi è l'alimentazione.
La tensione anodica, a difetto di alternatori a vento, non può essere fornita che da accumulatori o da alternatori mossi a mano, mediante demoltipliche di fortuna. Ciò era più complicato, ma da uomini energici quali erano quelli dell'equipaggio, decisi a tentare tutto per salvare la propria vita, non c'era miracolo che poteva sembrare impossibile.
Comunque, occorreva un certo tempo per mettere in ordine tale impianto dopo la caduta, e l'assenza di notizie era ben giustificata.
E' vero che un'altra ipotesi sarebbe stata che il radiotelegrafista, ferito, non avrebbe potuto occuparsi subito del suo impianto. In tal caso però, sarebbe stato stupefacente che alcun membro dell'equipaggio non fosse stato in grado di manovrare il tasto.
Ciò ci porta a concludere che è necessario che ogni membro dell'equipaggio aereo conosca il funzionamento e la manipolazione di un apparecchio radiofonico. Se realmente fosse stata vera l'ipotesi che il radiotelegrafista fosse stato ferito, si immagini l'esasperazione dei compagni impotenti a servirsi dell'unico mezzo di soccorso. Sembra che i membri di una spedizione come quella di Nobile avrebbero tutti dovuto conoscere la pratica del Morse. Essa dvrebbe far parte dei preparativi di una spedizione, così come altre volte era necessario conoscere l'addestramento dei carri groenlandesi per i traini.
Le spedizioni polari non hanno luogo tutti i giorni. Ma vi sono molteplici casi in cui la T.S.F. è chiamata ad essere il solo mezzo disponibile di collegamento. Gli equipaggi degli aereoplani che tentano i raids meravigliosi, sono tutti familiarizzati con gli apparecchi radio di bordo? La T.S.F. dovrebbe forse far parte della educazione degli individui, i quali dovrebbero conoscerla come la bicicletta o l'automobile.
(Le Radiogramme)


Torna alla pagina degli articoli